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  USA 2000: LO SPRINT FINALE

Gore, il populista burocratico

di Stefano da Empoli

Da mesi schiere di giornalisti ed esperti americani cercano di trovare accostamenti storici alla sfida Bush-Gore per la Casa Bianca. Alcuni hanno trovato analogie con il '60, quando un vice-presidente intelligente ma dai modi innaturali, Nixon, se la vide con un rivale, Kennedy, creatura dell'establishment e dal maggiore appeal personale. Molti democratici hanno archiviato pagine dolorose del loro recente passato, richiamando alla memoria l'agevole vittoria nel 1988 del vice-presidente Bush sul governatore Dukakis, largamente in testa per un largo tratto della corsa e poi crollato, quasi sul punto di tagliare il traguardo. Negli ultimissimi tempi, è però capitato di ascoltare con sempre maggiore insistenza riferimenti alla competizione del 1948. A spoglio appena iniziato, i sondaggi davano vincente Thomas Dewey, il candidato repubblicano. Poi a sorpresa prevalse il presidente uscente, Henry Truman, che si tolse la soddisfazione di farsi fotografare sorridente con in mano una copia del Chicago Daily Tribune che, non avendo atteso il risultato finale, titolava a nove colonne "Dewey defeats Truman".

È ancora troppo presto per prevedere altri clamorosi infortuni demoscopici ma certo è che il confronto tra Bush e Gore è stato nelle ultime settimane così serrato che i sondaggi non hanno granché aiutato a stabilire chi tra i due stia avanti in questo frangente. L'unica cosa su cui sembrano concordare è che Bush ha recuperato alcune posizioni rispetto ad inizio settembre, fermando l'emorragia di voti verso Gore. Il quale era sembrato inarrestabile quando ha iniziato a diffondere ai quattro venti il suo messaggio populista contro i ricchi e i potenti. Solo che il vice-presidente in versione "castrismo alla washingtoniana" non promette in alternativa la dittatura del proletariato, i cui risultati sul benessere collettivo sono dubbi ma che almeno regala l'illusione di un potere largamente decentrato in favore delle masse. La definizione di popolo americano che Gore sembra avere in mente è piuttosto ristretta geograficamente (chiunque abiti entro il raccordo di Washington) e lavorativamente (chiunque abbia funzioni dirigenziali nell'amministrazione statale). In tutto poche migliaia di persone, che dovrebbero gestire il più grande incremento della spesa pubblica dai tempi di Lyndon Johnson, 1.350 miliardi di dollari in dieci anni. Quanto basta per dare a Gore la paternità al massimo di un nuovo movimento di pensiero, il "populismo burocratico".

Accortosi della palese contraddizione in termini della Weltanschaung goriana, George W.Bush sta cavalcando a più non posso il populismo autentico, cioé quello che restituisce più poteri e competenze ai corpi direttamente interessati alle decisioni, siano essi gli organi locali, le famiglie o gli individui. "Una volta eletto, tratterò la gente con rispetto. Sono convinto che conosca i propri interessi e sappia decidere indipendentemente il proprio corso senza che ci sia qualcuno che glielo imponga dall'alto", dichiara il candidato repubblicano "tra me e il mio rivale ci sono enormi differenze filosofiche. Il vice-presidente sembrava interessato a reinventare lo Stato, adesso sembra interessato solo ad espanderlo". Bush promette a sua volta aumenti di spese per 476 miliardi di dollari in dieci anni ma, a differenza di Gore, li vorrebbe in larga parte gestiti da enti locali, famiglie, individui e settore no profit. Con un rapido cambio di strategia, adesso Bush chiama in causa Clinton, una volta tanto non per criticarlo ma per mettere il suo record di new democrat a confronto con il programma retrò del suo vice. Ricorda come il presidente avesse dichiarato nel 1996 "The era of big government is over", destinata forse a rimanere la sua frase più famosa (naturalmente dopo "I didn't have sex with that woman", che aprì il capitolo Lewinsky). C'è chi calcola che le promesse di spesa di Gore siano il triplo di quelle fatte da Clinton nel 1992. Un ritorno alla vecchia ricetta democratica del "tax and spend", che suona da avvertimento ad alcuni leader italiani del momento che guardano con ammirazione incantata e forse poco informata all'asinello americano.

stefanodaempoli@yahoo.com