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  SOUTH PARK

Una storia di
ordinario razzismo
(ma non si dice)

di Carlo Stagnaro

"Whites, get out!". Che, tradotto, vuol dire: "bianchi, fòra di ball". E' questo il poco cordiale invito che taluni anonimi rivolgono ai "visi pallidi" californiani. Anonimi, ma non troppo. Molti, infatti, sospettano che il volantino recante tali belle paroline sia attribuibile alle "New Black Panthers" (Nuove Pantere Nere). Recentemente, le cronache raccontano del gentile trattamento che queste persone hanno riservato a un anziano signore: l'hanno malamente gettato a terra. Perché era bianco. Ricollegandosi alla poco gloriosa tradizione dei loro omonimi predecessori, le Pantere sostengono di avere diritto all'intera nazione americana. Tutta per sé. Inutile fargli notare che, se possono dire cotante baggianate, è solo grazie a una cosa che si chiama "libertà d'espressione", ed è il frutto di un paio di millenni di progresso della civiltà occidentale. Bianca. Per loro, tuttavia, i bianchi sono e restano sporchi e puzzoni, e pure brutti e cattivi, altro che storie. Armati fino ai denti, pronti a combattere (presumiamo) per il "black power", essi non devono assolutamente meravigliare. Pur lasciando a prima vista scioccati, non ci si può nascondere dietro a un dito: manifestazioni di questo genere erano largamente prevedibili e da lungo tempo.

I neri americani (pardòn, l'etichetta prevede che essi vengano chiamati "gente di colore" o, ancora meglio, Afro-americani) hanno ben compreso due fatti. Il primo, che molti bianchi di area liberal (cioè progressista) provano una sorta di senso di colpa nei loro confronti. Essi ritengono per qualche oscuro motivo di dovere delle scuse per il terribile flagello della schiavitù. Il che potrebbe anche essere lodevole, se non fosse che tali "scuse" assumono la forma di assurdi provvedimenti coercitivi e puntivi dei bianchi stessi. L'istituzione di corsie preferenziali per le "minoranze", la costante posizione difensiva in cui sono costretti i membri della "maggioranza dominante", l'assurda ipocrisia del "politicamente corretto" sono tutti sintomi di tale complesso di colpa. Questo genere di provvedimenti, però, ben lungi dal "liberare le minoranze dall'oppressione", altro non fa che porre i "discriminati" su un piedistallo, e tutti gli altri ai loro piedi.

Non solo. I non-bianchi conoscono bene le ultime proiezioni demografiche, che mostrano come nel futuro prossimo le loro etnie saranno sempre meno minoritarie. Addirittura, pare che in alcuni Stati, come la California, e in alcune aree urbane esse diventeranno maggioranza in senso stretto. Queste persone, allora, seguono scientemente lo svolgimento di un cupo progetto ai danni dei bianchi. Recitano il ruolo delle vittime e chiedono una "tutela" che non è lontana dal dominio. Si fanno piccoli di fronte ai media e ruggiscono nelle aule di tribunale e in quelle parlamentari. 
La situazione è ancora peggiore (se possibile) nelle università. Quasi ovunque, infatti, stanno prendendo piedi programmi che, sotto la pomposa etichetta di "educazione alla diversità", forniscono una chiave di lettura della realtà estremamente significativa e partigiana. Da un lato, infatti, gli studenti bianchi vengono invitati, attraverso la visione di film non si sa quanto attendibili, a sentirsi "neri per un giorno". Dall'altro, i bianchi sono messi in una luce che definire "la fiera dei luoghi comuni" sarebbe un eufemismo. In uno di questi film, Skin Deep, uno studente bianco, al terzo giorno di un ritiro dedicato al problema della razza, inquadrato con tanto di sottotitolo con nome, cognome, città e college di provenienza, confessa il "razzismo sudista" della propria famiglia. Dopo un lungo sospiro, ammette desolato: "E' dura, dover scegliere tra ciò che è giusto e la tua famiglia". Sud uguale razzismo, bianchi uguale oppressori, neri uguale vittime: ecco il messaggio. Un bianco che capisce questo messaggio, diventa, per ciò stesso, un "alleato": ovvero una persona che, pur appartenendo alla categoria dominante, ha compreso la "verità" e interviene a favore degli oppressi.

E' del tutto evidente, dunque, il tentativo dei progressisti di far apparire vero quel che vero non è. Il loro scopo è abolire ogni forma di "discriminazione" introducendo delle vere e proprie "discriminazioni legislative" a favore delle presunte vittime di non si sa quale oppressione. Nel contempo, tutti coloro che appaiono restii a tale progetto - cattolici, conservatori, liberali classici, libertari - vengono accomunati ed etichettati come "reazionari", "retrogradi", "razzisti" e, immancabilmente, "fascisti". Il risultato, non si sa quanto inintenzionale, sono fenomeni come quello delle "New Black Panthers". Fenomeni preoccupanti e autenticamente razzisti, forti della consapevolezza di avere di fatto la legge dalla propria parte. Curiosamente, nessun politico progressista alza la voce contro il fatto che le Nuove Pantere Nere siano armate. Mica sono una milizia di conservatori, perbacco. E se ti azzardi a sussurrare che la maggioranza dei crimini è commessa da neri… beh, è vero ma non si dice, altrimenti sei razzista. Protestano, molti cittadini americani. "Se noi facessimo cose simili, finiremmo dentro in men che non si dica", affermano. "Gli abbiamo dato un dito - mi scrive un amico texano (bianco) - e ora questi ci prendono il braccio. Ma noi siamo stufi". Se qualcuno ha il coraggio di chiamarlo razzismo si faccia pure avanti.

cstagnaro@libero.it