L'ultima
spiaggia di
Pierluigi Mennitti Noi pensiamo che sia un bene che questi rapporti non vi siano. Perché Berlusconi avrebbe sbagliato a suggerire all'effervescente politico austriaco di stare alla larga dall'Italia. Avrebbe sbagliato per due motivi. Il primo, perché ormai l'Europa ha capito in che razza di tunnel s'è infilata comminando sanzioni a uno Stato democratico che democraticamente ha scelto il suo governo e che non ha compiuto sino ad oggi un atto che sia uno contro i diritti dell'uomo e quelli degli immigrati. Il secondo, perché avrebbe avallato l'indecente campagna che la sinistra italiana sta cercando di mettere in piedi nel nome di un sillogismo "da disperati": Haider è nazista, Berlusconi è amico di Haider e dunque Berlusconi è nazista. In mancanza di argomenti più solidi e in assenza di una classe dirigente capace di valutare le conseguenze di una campagna di delegittimazione, questo sarà il leit motiv della propaganda elettorale della sinistra, le cui basi teoriche Luciano Lanna analizza nel suo articolo su questo numero e tra le quali spicca un libro appena edito dalla "berlusconiana" Einaudi (misteri dell'editoria). Al momento egli è più il collettore delle insoddisfazioni politiche del suo popolo che il portatore di definiti progetti politici. Il suo exploit ha ben altre ragioni che la nostalgia per il tempo andato, le sue radici ideologiche non affondano nella follia nazional-socialista. Invece di perdere tempo con la propaganda, sarebbe meglio andarsi a studiare un po' di populismo per valutare come e perché esso si riproponga oggi in forme del tutto nuove e, per molti aspetti, compatibili con le democrazie postmoderne. Sempre in questo numero ospitiamo un articolo in merito scritto dal politologo Alessandro Campi. Oggi appare evidente che, all'indomani della formazione del governo austriaco, l'Europa commissionò le sanzioni per motivazioni interne a ciascun paese: Chirac, terrorizzato da qualsiasi novità si presenti nel mondo germanico, temeva che il modello Haider potesse far proseliti nello sgangherato centro-destra francese; i socialisti tedeschi, italiani e portoghesi presero al balzo l'occasione di cavalcare la delegittimazione di Haider a fini interni; i popolari preferirono la prudenza dell'attesa, ritenendo inopportuno immolarsi sull'altare di Schuessel, il reprobo che aveva osato aprire le porte del governo ai liberalnazionali. Dopo sette mesi di sanzioni, tre saggi gireranno in lungo e in largo l'Austria per assucurare l'Europa che nessun diritto umano è stato violato. Le sanzioni verranno ritirate e si chiuderà una delle pagine meno esaltanti della recente storia europea. Ma le ferite lasciano sempre delle cicatrici. E su queste cicatrici la sinistra italiana ha intenzione di versare il poco sale che le è rimasto in zucca. In queste settimane Folena ha chiesto a Forza Italia "un'azione energica contro Haider"; Mussi ha presentato un'interrogazione parlamentare sul sindaco di Jesolo alla quale Amato ha risposto con grande enfasi; Veltroni e D'Alema hanno minacciato l'isolamento dell'Italia sul piano internazionale, qualora il Polo vincesse le elezioni (ah, quanto sono lontani i tempi del D'Alema che rintuzzava le accuse ad An del cancelliere tedesco Schroeder). Per loro valga il monito del segretario del Ppe, lo spagnolo Alejandro Agag: "Il Polo è una coalizione affidabile che non ha bisogno di patenti di democraticità". Insomma sarebbe una battaglia persa che in più rischierebbe di gettare ombre sul nostro paese di fronte a un'opinione pubblica europea disinformata.
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