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  COMMENTI

Le lunghe ferie
del Parlamento
"sordo e grigio"

di Domenico Mennitti

Nel paese vari problemi continuano a segnalarsi con i caratteri dell'urgenza. Basta considerare la portata di fenomeni quali l'immigrazione, la sicurezza, l'amministrazione della giustizia, la disparità strutturale di crescita fra Nord e Sud, il degrado del territorio, per rendersi conto che la società esplode di contraddizioni e di preoccupazioni che investono i cittadini lungo l'ordinario percorso della vita quotidiana. Se però si mette piede in una delle due Camere legislative e si pone attenzione al vociare degli eletti, la sensazione è di blocco totale, di sciopero della responsabilità, nell'attesa della competizione elettorale che comunque batte alle porte, a prescindere dalla data in cui effettivamente si svolgerà.

La verità è che una legislatura non si conclude necessariamente alla scadenza temporale che la Costituzione indica. Si chiude quando saltano gli equilibri politici emersi dalla urne e non c'è più sintonia fra la maggioranza degli elettori e quella degli eletti. Chi esercita il potere nelle istituzioni sta ripetendo l'errore del 1991, quando appunto si volle trascinare sino alla scadenza naturale dell'anno successivo una legislatura ch'era già morta. E le conseguenze pensiamo nessuno le abbia dimenticate, anche se vale la regola che nessuno mai da tali esperienze riesce a trarre motivi per non ripetere gli errori. Oggi Amato, come allora fece Andreotti, si ostina a restare al vertice di un sistema che è paralizzato, imbrigliato nella rete dei sospetti, incapace di dare soluzione a qualsiasi problema, nonostante sia costretto ad affrontarne di gravi ed urgenti.

La politica ormai si aggrappa all'effetto degli annunci e ciò non fa che evidenziarne la debolezza, a tratti l'inutilità, più spesso la pericolosità, perché con le parole - pronunziate a sproposito e senza prudenza - si suscitano speranze enormi, alle quali fanno seguito delusioni rancorose ed ingovernabili. Il pensiero corre alla cosiddetta "clemenza giudiziaria", spacciata per decisione ineluttabile anche per alleggerire l'insostenibile affollamento delle carceri e poi finita nel pantano di un interminabile ping-pong dialettico, dal quale emerge come grande assente la politica dei fatti, delle iniziative. Camera e Senato dovrebbero essere le sedi delle decisioni e non funzionano neppure più come cassa di risonanza delle determinazioni dei partiti. Se per anni abbiamo denunziato l'usurpazione del ruolo istituzionale da parte della partitocrazia, ora la crisi si manifesta totale per via dell'assenza di punti di riferimento sia politici che organizzativi. 

Deputati e senatori sono "vuoti dentro", nel senso che sentono conclusa la corsa di questa legislatura; non si esaltano neppure all'idea che c'è la legge finanziaria da discutere e che quella potrebbe essere una tribuna per riproporsi all'attenzione dell'elettorato. Il centro-sinistra, da quando è dato perdente, non ha più programmi da sostenere, idee da divulgare; punta tutto sulla pesca miracolosa di un imbroglio che, come nel '94, gli consenta di spodestare il Cavaliere dopo la vittoria. Magari discettando di delegittimazione. Perché da quelle parti hanno perso tutto - credibilità e consenso - ma non la spocchia di far gli esami al prossimo.

Questo è il clima della bizzarra estate che stiamo vivendo. Ogni giorno divampa un incendio e devasta un settore della società, riduce in cenere aspettative di cittadini onesti che vanno in vacanza sì e no un mese all'anno e per il resto fanno il proprio dovere, attendono al proprio lavoro. Come può questa Italia essere rappresentata e diretta da chi ha deciso di estendere le ferie ad un anno intero, utilizzando divagazioni dialettiche come certificati d'esistenza in vita?

domennitti@tin.it