George Gilder nasce a New York, nel 1939. Frequenta la Exeter Academy e l'università di Harvard, dove si fa notare come uno degli allievi più brillanti del corso di scienza della politica tenuto da Henry Kissinger. Dopo la laurea, nel 1962, continua ad occuparsi di politologia e, insieme a Bruce Chapman, scrive il suo primo libro, "The Party that Lost its Head", sulla crisi di leadership del sistema politico statunitense. Intanto, a tempo perso, diventa uno degli scrittori di discorsi più apprezzati dagli esponenti della destra a stelle e strisce. E lavora con Nelson Rockfeller, George Romney e Richard Nixon.

Negli anni Settanta, Gilder inizia ad interessarsi alle cause della povertà e allo sviluppo della ricchezza. Una ricerca che lo porta a scrivere altri tre volumi: "Men and Marriage" (1972), "Visible Man" (1978) e, soprattutto, "Wealth and Poverty" (1981), un best-seller che diventa il principale punto di riferimento per gli economisti della supply-side che daranno vita alla Reaganomics.

Questa svolta liberista si accentua negli anni Ottanta, quando Gilder diventa presidente del Lehrman Institute e del Manhattan Insitute, collabora attivamente alla stesura dei Laffer Economic Reports, scrive editoriali per il Wall Street Journal e inizia ad occuparsi di nuove tecnologie. La sua prosa brillante da divulgatore, unita alla capacità di vedere più lontano della maggior parte dei suoi contemporanei, lo porta a farsi strada come consigliere di un grande numero di uomini politici americani, quasi tutti vicini al partito repubblicano. Secondo una recente statistica, per esempio, Gilder è stato l'autore vivente più citato da Ronald Reagan nei suoi discorsi pubblici. Ed è proprio l'ex presidente, nell'86, a conferirgli il "White House Award" per meriti scientifici ed imprenditoriali.

Nella seconda metà degli anni Ottanta, Gilder decide di occuparsi prevalentemente dell'impatto delle nuove tecnologie sul sistema democratico. E così, dopo "The Spirit of Enterprise" (1986), scrive "Microcosm" (1989), "Life After Television" (1992) e "Telecosm" (1996). Senza dimenticare, naturalmente, la sua attività di "consigliere del principe", prima con il leader repubblicano alla Camera, Newt Gingrich, e poi con Steve Forbes, l'editore miliardario battuto da Bob Dole alle primarie Gop per le presidenziali del '96.

Oggi Gilder, oltre a scrivere per ASAP (la rivista di Forbes dedicata all'hi-tech) e per molti altri organi di informazione, insegna al Discovery Institute di Seattle. E fa il pendolare tra lo stato di Washington e Tyringham, nelle montagne del Berkshire (Massachusetts), dove vive insieme alla moglie, Nini, e ai loro quattro figli.

George Gilder è un personaggio controverso. Per quel manipolo, sempre più numeroso, di libertarian "destrorsi" che si agitano intorno al Gop è un vero e proprio mito vivente. Soprattutto per i suoi ultimi tre volumi, dedicati allo sviluppo dell'elettronica e al futuro delle telecomunicazioni. Il mondo liberal statunitense, invece, semplicemente lo odia. Prima di tutto perché ha avuto l'ardire di collaborare con "pericolosi reazionari" come Reagan e Gingrich, ma anche perché possiede una visione del futuro tanto nitida da sembrare, ai suoi detrattori, pericolosissima.

Sì, perché il futuro che Gilder intravede dietro la Rivoluzione Digitale è aperto, spontaneo, libero, decentrato e anti-statalista. Sempre che, naturalmente, i Leviatani mondiali non decidano di dare sfogo alle proprie smanie dirigiste. Niente intervento pubblico, insomma, niente Information Highways a cura della premiata ditta Clinton-Gore, niente privilegi per i grandi monopolisti delle tlc, niente diffusione "forzata" di Internet. La ricetta di Gilder per affrontare le sfide del 2000 è semplice: lasciare in pace il mercato. Ed è proprio questo laissez-faire senza compromessi che gli è costato l'ostracismo, nel migliore dei casi, di una grande fetta dei media internazionali.

"La mia tesi - ha dichiarato Gilder in un'intervista rilasciata a Wired nell'ottobre del '93 - è che, con la diffusione della fibra ottica, l'ampiezza di banda diventerà virtualmente libera, com'è accaduto in passato con i transistor. E invece di adoperare la nostra intelligenza per fare economia sull'ampiezza di banda, useremo questa disponibilità crescente per fare economia sull'intelligenza. La vera risorsa scarsa, infatti, non è l'etere o la fibra ottica, ma la mente umana. L'esempio di Internet, metafora perfetta dell'ordine spontaneo, dimostra come sia possibile produrre ricchezza senza essere irregimentati in un sistema gerarchico di controllo. Quando l'intelligenza si distribuisce spontaneamente alle estremità di un network, il network in sé può anche essere stupido. L'intelligenza non si crea con le commesse pubbliche. E senza libertà muore".

a cura di Andrea Mancia (1998)


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